la Repubblica
2 novembre
2003
Intervento del
senatore
Franco Bassanini
COLPA DEL GOVERNO,
NON DELLA RIFORMA
Caro direttore, come il suo giornale ha riferito, un gruppo di esponenti della
maggioranza, guidati da Fini e Armani, ha finalmente scoperto il capro
espiatorio: la riforma dell´amministrazione varata dal centrosinistra, nota
come legge Bassanini. Un tentativo riuscito - dicono - di "avvelenare i
pozzi", in vista della prevista vittoria elettorale della destra. Sotto
tiro è la riforma del governo, che ha, tra l´altro, ridotto di molto il numero
dei ministeri e riorganizzato i ministeri restanti: e che, in particolare,
unificando i ministeri del Tesoro, del Bilancio e delle Finanze, avrebbe
costruito un enorme centro di potere, oggi nelle mani di Giulio Tremonti. Via
dunque ad una controriforma: Armani la sta studiando; separiamo le Finanze dal
Tesoro; o magari, come era ancora pochi anni fa, torniamo a spaccare il
ministero dell´Economia in cinque (aggiungendovi Bilancio, Mezzogiorno,
Partecipazioni Statali). E poi, perché no, torniamo a separare i Lavori
Pubblici dai Trasporti, oggi riuniti nel ministero delle Infrastrutture, e il
Lavoro dagli Affari sociali, oggi riuniti nel ministero del welfare, e via
lottizzando. Più ministeri, più ministri, più sottosegretari, più gabinetti,
più segreterie: todos caballeros. Le finanze del Paese non lo permettono?
Pazienza, se serve a tranquillizzare i famelici parlamentari della maggioranza;
e se agevolerà il rimpasto di governo previsto per gennaio. Una bella
moltiplicazione delle poltrone ministeriali calmerà (almeno per qualche mese)
le risse tra i partiti della Casa delle libertà.
Salgo volentieri sul banco degli imputati. Innanzitutto per ricordare che la riforma
del 1997-1999 ha cancellato una vera anomalia italiana. In nessun Paese
dell´Unione europea, Tesoro, Bilancio e Finanze erano (e sono) ministeri
separati. Nessun altro governo inviava alle riunioni di Ecofin due o tre
ministri, come l´Italia. In alcuni Paesi (come la Francia), il ministro
dell´Economia e delle Finanze ha addirittura competenza anche per le politiche
industriali e commerciali, per il commercio estero, per il turismo e
l´artigianato (assomma le competenze di Tremonti più quelle di Marzano). Tra i
costituzionalisti e gli scienziati delle istituzioni non vi erano dubbi. La
struttura del governo italiano era troppo disordinata e frammentata. La
separazione fra responsabilità delle entrate, della provvista delle risorse
(Finanze) e responsabilità del bilancio e dell´equilibrio della finanza
pubblica (Tesoro) produceva scoordinamento, rimpallo di responsabilità,
conflitti sotterranei talora degenerati in risse (famosa quella
Andreatta-Formica, detta «delle comari»). Altrettanto accadeva per la
separazione fra Lavori Pubblici e Trasporti (dove il ministro responsabile
delle infrastrutture stradali non aveva competenza per le ferrovie; e il
ministro competente per gli autoveicoli non aveva competenza sulle strade).
La riforma dell´Ulivo ha consegnato al centrodestra una struttura del governo
più moderna ed europea. Riducendo, in pochi anni, da 22 a 12 il numero dei
ministeri (più 4-5 ministri senza portafoglio a fianco del Presidente del
Consiglio), l´ha riallineata a quella dei maggiori governi europei (Francia,
Gran Bretagna, Germania e Spagna). Ma Berlusconi è partito subito col piede
sbagliato: ha moltiplicato a dismisura il numero dei ministri senza
portafoglio. Ha subito ricreato per decreto due vecchi ministeri. Oggi difende
Tremonti, ma per il resto è tentato dall´idea di un ritorno al passato, alle
pratiche lottizzatorie della prima Repubblica.
Certo, Tremonti ha accumulato poteri eccessivi. Ma chi lo denuncia, sbaglia
nell´analisi delle cause. Le cerca in casa altrui, mentre sono tutte in casa
sua. Non è colpa della riforma dell´Ulivo, né del centrosinistra (che si è
opposto con tutte le - modeste - armi della opposizione), se la maggioranza ha
approvato il decreto «taglia spese», che ha affidato a Tremonti una sorta di
licenza di uccidere, buona per mettere sotto permanente ricatto tutti i
ministri e tutte le amministrazioni: il potere di tagliare stanziamenti
approvati dal Parlamento, rendendo incerti e precari i programmi di intervento
di tutti i ministeri. Non è colpa del centrosinistra, se Tremonti ha conservato
il controllo di importanti strumenti di promozione e sostegno dello sviluppo
del Mezzogiorno e delle aree depresse (la delega di Micciché) che la riforma
del 1999 trasferiva invece al Ministero delle Attività produttive, responsabile
della politica industriale. È semmai colpa della maggioranza e di chi la
dovrebbe guidare (oltre che di Marzano).
Non è colpa del centrosinistra se il presidente del Consiglio fa quasi soltanto
il Capo delle relazioni esterne del governo, occupandosi ossessivamente - con
alterne fortune - della immagine (sua e del suo gabinetto) e dei rapporti con i
leader stranieri; e se ha di fatto rinunciato, per contro, alla attività di
coordinamento e di direzione della compagine governativa che è, viceversa, il
primo compito dell´inquilino di Palazzo Chigi (palazzo che, non a caso, egli
frequenta assai poco, preferendo ville o palazzi privati); se Berlusconi ha di
fatto smantellato gli strumenti di coordinamento dell´attività governativa
faticosamente costruiti dai suoi predecessori (il Dipartimento degli Affari
economici di Palazzo Chigi, che ha perso i suoi elementi migliori, il Nucleo
per la semplificazione delle leggi, inopinatamente soppresso), così dando mano
libera a Tremonti per tutta la politica economica e finanziaria; se Berlusconi
ha sempre dimostrato una tollerante condiscendenza per tutte le scorrerie della
cordata Tremonti-Bossi; se ha dimostrato che un grande comunicatore (un grande
magnate dei media) non è necessariamente uno statista e un uomo di governo,
capace di assolvere a un compito impegnativo qual è il governo di una
democrazia contemporanea.
Non attribuiamo dunque a riforme che hanno allineato l´Italia all´Europa
responsabilità che sono solo di questo governo e di chi lo guida. Evitiamo di
dare alle istituzioni responsabilità che sono tutte e solo della politica. Ed
evitiamo di vedere "pozzi avvelenati" dove c´è stato soltanto un
paziente lavoro di ammodernamento della macchina del nostro Stato (che ha, more
solito, trovato maggiori riconoscimenti all´estero che in patria). E non
parlino di "pozzi avvelenati" i sostenitori di un governo che - tra
condoni, sanatorie, silenzi-assensi, rogatorie, "cirami", premierati
forti e via elencando - sta, esso sì, avvelenando per molti anni il retroterra
etico-culturale della democrazia italiana.